L’espressione intelligenza emotiva sembra un ossimoro tipo: silenzio assordante o buio accecante. Per alcuni è soltanto una specie di moda new age. Per altri invece è una vera e propria scienza. Gli scettici la considerano semplicemente una delle tante espressioni e applicazioni della cara vecchia “materia grigia”. In pratica è tutta una combinazione di acume, carattere e fattori ambientali.
Ci sono infatti “geni” introversi e altri più esuberanti, tutto qui. Al contrario, i fautori di questa forma di talento, la descrivono come una qualità a sé. Per questi si tratta della chiave della crescita personale e della realizzazione del potenziale. Quindi l’essere “solo” mentalmente dotati non è garanzia di risultato? Diciamo che non tutti i cervelloni hanno per forza successo. Tuttavia alcuni dei personaggi più ricchi e influenti del mondo, hanno un QI molto al di sopra della media.
Ad esempio, quello di miliardari come Jeff Bezos, Elon Musk e Mark Zuckerberg si avvicina molto a quello di Albert Einstein. Nonostante ciò è proprio qui che si incontrano e scontrano le due tesi. Infatti per liquidare la questione basta dire che posseggono tutti un alto livello di intelligenza emotiva. Non a caso questa attitudine coincide pure con l’inclinazione alla leadership e all’innovazione. Piaciuto l’antipasto? Bene, adesso serviamo il piatto forte, a tavola!
Cos’è l’intelligenza emotiva?
Chi parla di intelligenza emotiva per la prima volta sono gli psicologi John D. Mayer e Peter Salovery nel 1990. La definiscono come “La capacità di distinguere e controllare sentimenti ed emozioni, proprie ed altrui, utilizzando queste informazioni per guidare pensieri e azioni”.
Però è nel 1995, con Daniel Goleman, che l’argomento diventa di tendenza sia in ambito scientifico che aziendale. La tematica in verità è anche più datata. Infatti a metà degli anni ’80 Howard Gardner lancia la teoria delle intelligenze multiple. In pratica per lui esiste una sfumatura cognitiva per ogni contesto. Ciascun individuo quindi crea il proprio mix personale e unico.
Prima ancora, nel 1920 Edward L. Thorndike parlava di intelligenza sociale. Cosa emerge in sostanza dagli studi di tizi “famosi” quanto il presidente del Turkmenistan? Di sicuro ora andrai a cercarlo su Google, quindi fai pure, noi ti aspettiamo qui. Fatto? Ok, allora proseguiamo.
Dunque, l’intelligenza emotiva è avere coscienza e potere sui propri impulsi primari e complessi. A ciò si aggiunge inoltre la sensibilità verso quelli degli altri e l’abilità di gestire il tutto. In pratica individui, interpreti e moduli ciò che accade dentro e fuori di te. Si tratta di una miscela di logica, empatia, autocontrollo e spirito di adattamento. Se la possiedi hai impatto sull’esterno e dominio sull’interiorità. Adesso penserai: quindi sarò per sempre sereno, felice e soddisfatto?
Non esattamente. Significa però che decifrerai i messaggi nascosti nelle percezioni e userai quelle risorse per agire in modo più pieno ed efficace. Inoltre adotterai atteggiamenti positivi che ti faciliteranno la vita e i rapporti sociali. Per finire migliorerai la tua capacità di problem solving e la tua resilienza. Mica male dopo tutto. Sempre convinto ad approfondire? Bene, così ti vogliamo!
A cosa serve e perché è importante
Quanto detto fino ad ora è solo un assaggio delle applicazioni dell’intelligenza emotiva. Essa infatti determina l’esito di ogni azione. Significa conoscere sé stessi, avere più sicurezza e autostima. Ciò quindi aumenta flessibilità e perseveranza difronte a cambiamenti e ostacoli. Immagina libertà e indipendenza, oltre i tuoi limiti e le tue zone di confort, bello no? E questa è solo la parte che riguarda il rapporto con il tuo “io”. Le emozioni sono risorse e messaggi interiori. Perché sprecarle o ignorarli? Usandole bene agirai spinto dalla voglia di vincere invece che dalla paura di perdere.
Quando interagisci con il prossimo, l’intelligenza emotiva diventa un “superpotere” al servizio della comunicazione e della collaborazione. Coinvolgi gli altri ricevendo consenso e sostegno. Risolvi i conflitti e valorizzi le diversità delle persone. In pratica costruisci relazioni più forti nel privato e sul lavoro. Ci riesci perché vedi, capisci e rispetti prospettive ed esigenze di tutti. Questo approccio, infine, migliora anche la qualità dell’apprendimento. È la mente che assimila le nozioni. Tuttavia è il cuore che gli dà significato e le trasforma in memoria fruibile al momento giusto.
Modelli teorici di intelligenza emotiva
Il concetto di intelligenza emotiva nasce in una sorta di “famiglia allargata”. Infatti i suoi padri teorici sono almeno tre. Come atto dovuto, qui esponiamo i principali approcci e le loro specificità:
Modello di Salovery-Mayer. Si articola in 4 fasi di percezione, comprensione, gestione e utilizzo delle emozioni. Nella prima si decifrano quelle proprie e altrui. Con la seconda le si metabolizza al momento e nel tempo. Con la terza le si regola, cambiando all’occorrenza le negative in positive. Nella quarta infine le si sfrutta adattando riflessioni e procedimenti per raggiungere gli obiettivi.
Modello di Goleman. I suoi pilastri sono consapevolezza, autoregolazione, abilità sociale, motivazione, ed empatia. Il primo identifica le emozioni, le accetta, le comprende, valuta punti forti e deboli personali e altrui. Il secondo modula intensità di quei sentimenti sul corpo e sulla mente. Il terzo li indirizza per interagire e comunicare. Il quarto li usa per motivare sé stessi e gli altri. Il quinto sintonizza lo stato d’animo e punto di vista con quello del prossimo.
I due modelli sono ovviamente diversi, però conservano vari elementi in comune. Per molti versi infatti l’uno rappresenta l’evoluzione dell’altro. L’unico vero tratto distintivo è il modo di classificare l’intelligenza emotiva. Per Salovery e Mayer si tratta di un dono innato. Invece per Goleman è una funzione che si impara e si sviluppa con l’applicazione e l’esperienza.
Critiche, pro e contro
A prescindere dal modello teorico preferito, l’intelligenza emotiva sembra proprio una figata, giusto? Quali difetti avrà mai un approccio che in sostanza valorizza ogni tipo di talento? Se ad esempio sei somaro in matematica, pazienza! Magari significa solo che la tua mente funziona più in modo sensoriale che analitico. E invece no, anche questa volta c’è dibattito e disaccordo.
La critica più grande riguarda la rilevazione di questa capacità. Infatti, a differenza dei soliti test per valutare il QI, quello per la IE non ha risposte giuste o sbagliate. I detrattori quindi accusano: ciò che non si misura non esiste. Sarà, però qualcuno diceva “Misura ciò che è misurabile, e rendi misurabile ciò che non lo è”. Chi era costui? Soltanto Galileo Galilei, mica uno qualunque.
Altro nodo dell’intelligenza emotiva è la sua utilità. Fino ad ora infatti questa abilità pare ottima alleata in ogni ambito. Chi la possiede ad esempio assorbe meglio lo stress, domina l’ansia e la trasforma in energia. È più produttivo, ha maggiore benessere psicofisico, tesse rapporti sani e di qualità. Inoltre gestisce bene sentimenti negativi come invidia e gelosia. Allora qual è il problema?
Per i detrattori è proprio qui che casca l’asino. Essere troppo coinvolti in sostanza impedisce di prendere decisioni imparziali, obbiettive e pure impopolari. Se così fosse vorrebbe dire che i genitori non riuscirebbero mai a fare le scelte migliori per i propri figli. Il ragionamento è quindi opinabile. C’è chi le emozioni preferisce metterle a fuoco, e chi invece metterle al rogo!
Per finire la domanda è: che connotazione ha l’intelligenza emotiva? Non si parla di punti deboli o di forza, ma di qualità benefica o nociva. Interpretare le emozioni proprie e altrui, gestendole a proprio favore, a molti sembra una forma di manipolazione. Tu cosa ne pensi?
Come sviluppare l’intelligenza emotiva: consigli e strategie
Arriviamo alla parte più pratica della nostra guida. Se diamo retta a Goleman il QI è cosa diversa dall’intelligenza emotiva. Quest’ultima infatti si allena e si sviluppa. La chiave è lavorare su sé stessi, ok ma in che modo esattamente? Eccoti qualche dritta:
Ogni occasione è buona. In campo aziendale vanno di moda simulazioni e giochi di ruolo. Lo scopo è testare le reazioni dei soggetti e renderle più efficaci. Tuttavia la migliore “demo” è la vita stessa. Prima o poi si verifica qualunque circostanza. Le situazioni reali e impreviste sono un’opportunità di analisi per te e per chi ti sta intorno. L’espressione spontanea è la forma di pratica più valida.
Prima l’uovo o la gallina? C’è connessione tra pensiero ed emozione. A volte il primo genera la seconda. Altre invece accade l’esatto contrario. Rifletti sull’origine e vedrai con più chiarezza.
L’emozione non si giudica. Perché etichettare sempre tutto? Ad esempio, la gioia è buona, la tristezza è cattiva. La calma è giusta, l’ansia è sbagliata. Niente regole con sensazioni e sentimenti. Quello che provi è il risultato naturale di ciò che accade dentro o fuori di te. Persone diverse reagiscono in modi diversi. Inoltre non sempre si reagisce allo stesso modo in situazioni simili.
Separa sentimento da comportamento. Come detto le emozioni non si giudicano, però le azioni si. Provare rabbia non è motivo di colpa o vergogna. Tuttavia se la collera diventa violenza allora il discorso cambia. L’intelligenza emotiva è lo strumento per riconoscere ciò che senti, interpretarlo e gestirlo nel modo adeguato. Prendi il tempo necessario per riflettere, e intanto lasciaci un commento.