L’Italia si sa è un paese tipicamente esterofilo, e lo è pure la sua lingua. Tra gli anglicismi più di moda negli ultimi anni c’è quello del caregiver familiare. Deriva dal verbo inglese “to care”, cioè “curare”. Quindi il termine significa letteralmente “chi si prende cura”. In sostanza è un assistente. Anche perché in verità la parole piace più ai media che a chi svolge realmente l’attività.
Tuttavia questa semplificazione è troppo riduttiva. Si tratta infatti di colui che si occupa di tutte le necessità di una persona bisognosa. Compare come punto di riferimento nel campo delle terapie palliative domiciliari. È l’anello di collegamento tra gli infermieri e il medico di famiglia.
Ha funzioni di tipo pratico. Però, cosa più importante, garantisce compagnia, calore umano e conforto morale. Aiuta l’ammalato nelle piccole e grandi sfide quotidiane. Dà sollievo e dignità alla condizione di disagio. Segue l’ammalato nel suo ambiente, nell’habitat per lui più confortevole.
Comunque lo si voglia chiamare, il caregiver familiare esiste da sempre. È un ruolo ben conosciuto sotto il profilo sociale però non riconosciuto sotto quello giuridico ed economico. Quasi in ogni casa c’è qualcuno che bada a genitori, figli, coniugi o conviventi con problemi di tipo mentale o fisico. Nonostante ciò, solo di recente questa “missione” sta trovando forse la sua identità.
Chi è il caregiver familiare
Ha tra 45 e 65 anni, più spesso è donna, e dedica almeno 25 ore settimanali accanto a un parente malato o disabile. Questo è l’identikit del caregiver familiare medio. Si tratta in pratica di soldati che ogni giorno sono sul campo da soli, pur facendo parte di un esercito di quasi 8 milioni di unità.
È un onere costante, difficile e usurante. Si svolge a titolo gratuito, però è come un lavoro a tempo pieno e indeterminato. Inoltre prevede sforzi progressivi a causa di una condizione sempre in mutamento, poiché il quadro clinico cambia di continuo. Quindi lo stress da affrontare è alto.
Richiede grandi abilità di multitasking e di problem solving. A volte diventa alienante e si sviluppa un senso di frustrazione e di solitudine. La ragione è pure la scarsa valorizzazione del ruolo.
Un impegno così gravoso ha quasi sempre riflessi sulla sfera personale e professionale. Non è raro infatti che il caregiver lasci il proprio impiego o affronti crisi a casa propria. A rischio c’è l’equilibrio emotivo e la qualità della vita. In proposito interviene la National Family Caregivers Association.
L’associazione americana di settore indica come comportarsi con il paziente, però pure come proteggere il proprio benessere psicofisico. Ecco i principi da seguire:
- Conoscere a fondo la patologia dell’assistito aiuta a gestirla meglio
- È essenziale trovare tempo e spazio per lo svago e il riposo
- Il caregiver ha doveri verso l’assistito ma pure verso sé stesso. Inoltre ha diritti come cittadino e individuo
- Occhio a eventuali segnali di bornout (sindrome da esaurimento), attacchi di rabbia o depressione
- L’infermità dell’assistito non è sempre l’unica priorità
- Non c’è vergogna nell’accettare l’aiuto degli altri
Chi si prende cura…di chi si prende cura?
Quello in oggetto è un ambito ancora molto sguarnito. In pratica ci sono fin troppi oneri e pochi onori. Servono pratiche pensate per la flessibilità e lo smart working. Occorrono ad esempio dei piani di ricollocamento professionale quando il caregiver familiare termina l’attività di assistenza.
Mancano politiche attive nei servizi dell’impiego e accordi con i datori di lavoro. Tra le idee in cantiere c’è quella del “fondo ferie solidali”. In pratica ogni risorsa umana cede di propria iniziativa dei giorni di vacanza a favore di un collega in difficoltà. Tuttavia si tratta solo ancora di proposte.
Inoltre è necessario pure il sostegno delle compagnie assicurative. Infatti c’è bisogno di prodotti e soluzioni progettate ad hoc nei settori: sicurezza, salute e previdenza integrativa. Per finire è utile la partecipazione delle reti di volontariato, delle associazioni di solidarietà e dei servizi sociali.
Come fare domanda per il caregiver familiare
La prima cosa da sapere è che attualmente non esiste una vera e propria disciplina in materia. Di conseguenza manca pure una specifica procedura per diventare caregiver familiare. Le norme più vicine a una forma di tutela sono : il decreto legislativo 151 del 2001 e la legge 104 del 1992.
Suddetti provvedimenti prevedono agevolazioni a chi assiste persone con infermità. Gli spettano infatti 3 giorni mensili di permesso pagato. Inoltre hanno diritto a un congedo straordinario retribuito per un massimo di 2 anni. Per fruirne occorre fare domanda all’Inps e al datore di lavoro.
Vi è inoltre l’opzione dell’anticipo pensionistico (APE sociale). Però occorrono almeno 63 anni di età, 30 di contributi e l’essere residenti in Italia. L’importo si calcola sulla pensione percepibile alla data della domanda. Tuttavia esiste un limite massimo, nell’ordine di 1500 euro mensili.
Caregiver familiare requisiti e compiti
Senza una precisa codifica professionale è difficile definire le mansioni di un caregiver familiare. Tutto dipende dal contesto, dalle situazioni e dalle esigenze dell’assistito. Di seguito un elenco dei compiti principali, da quelli più semplici a quelli più complessi:
- Acquistare le medicine e monitorare l’assunzione del piano terapeutico
- Preparare e somministrare i pasti
- Provvedere alla pulizia degli ambienti e alle attività domestiche
- Aiutare il paziente a vestirsi, a utilizzare il bagno e nell’igiene personale
- Occuparsi delle incombenze amministrative
- Accompagnare il paziente alle visite specialistiche o essere presente a quelle domiciliari
- Apprendere le manovre di spostamento, le procedure sanitarie e fisioterapiche elementari
Se il ruolo del caregiver familiare è abbastanza ampio, i requisiti invece sono piuttosto netti. Il rapporto con il soggetto non autonomo è identificabile tra uno dei seguenti:
- Genitorialità biologica, adottiva o affidataria
- Matrimonio, unione civile o convivenza di fatto
- Grado di parentela o di affinità entro il secondo grado
- Grado di parentela o di affinità entro il terzo grado se genitori o coniugi del soggetto sono over 65, invalidi o deceduti
Perché è un’opportunità ambire a questa figura professionale
Se provi a tradurre “caregiver” su Google Translate otterrai la parola “badante”. In effetti si tratta della stessa cosa. Il secondo termine però identifica un mestiere ben inquadrato, con stipendio e contributi. Purtroppo l’Italia è ancora lontana dal riconoscere valore normativo alla nuova figura.
L’ingranaggio è lento “eppur si muove”. Nella Legge di Bilancio 2018, per la prima volta compare il Fondo per il caregiver familiare. In pratica si parla di uno strumento finanziario per dare sussidi ai soggetti interessati. Le modalità di accesso dipendono poi dai vari modelli organizzativi regionali.
Sulla stessa lunghezza d’onda è il Disegno di Legge 1461 del 2019. Il DDL amplia l’argomento e va pure nel dettaglio indicando quantità e qualità di aiuti. Per finire, il tutto rientra nell’ambito di competenza della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.
L’aspetto da considerare è l’invecchiamento della popolazione, ma pure degli stessi caregivers. A volte infatti chi si prende cura di un anziano lo è sua volta. Ciò peggiora ulteriormente lo stato di disagio. Quindi serve un adeguato turnover. Come ogni esigenza stimola l’iniziativa così ogni un problema si trasforma in un’opportunità. Il futuro vedrà il necessario utilizzo di queste risorse.
I caregiver familiare è la risposta alle lacune del sistema sanitario e socioassistenziale. Ci sono già diverse associazioni e federazioni che organizzano corsi di formazione in aula e online. C’è solo attesa che legge certifichi quella che è già una situazione di fatto. Quindi che fare nel frattempo?
Chi ha interesse, inclinazione, lo fa già o vuole imparare a farlo meglio, investirà nella preparazione. Lo scopo è trovarsi pronti con l’offerta, quando il mercato del lavoro attiverà la domanda. E tu hai già avuto una simile esperienza? Condividila con noi lasciandoci un commento.